Un giorno crescerò

Bergamo per me da bambino non era una città, ma una nave. Dall’alto delle sue eleganti murate di pietra la pianura padana era un oceano verde solcato da vascelli nemici. Inutilmente la maestra cercava di interessarmi alle erbe spontanee. Con l’autunno si entrava in un mare di nebbia, il tema delle passeggiate erano le castagne, ma io continuavo a scrutare l’orizzonte al di là delle mura. Cercavo il passaggio a Nord-Ovest.

… un giorno crescerò

Alle medie ci portavano all’orto botanico, dove “Il vastissimo regno vegetale dalla natura gettato alla rinfusa è distinto dalla scienza in chiare e separate provincie”. E poi al parco della flora orobica, al chiostro delle erbe officinali del monastero, ai giardini all’italiana dei palazzi nobili… Ovunque piante, fiori, erbe e alberi ridotti a complementi d’arredo, forme decorative, richiuse tra muretti, cancellate, vetrate. Non mi attiravano.

Poi una notte di settembre mi svegliai

Accadde leggendo Leopardi: “Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, naturale non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura”.

Un deserto mi sembrava la città

Inconsapevolmente, collettivamente, si faceva strada il desiderio di superare la contrapposizione tra la natura selvaggia e ostile che resta fuori, extra muros, e la natura ordinata, edificante e amica che curiamo intra muros, negli orti, nei giardini, nei parchi. 

Al Liceo il prof. di scienze naturali, proprio ripercorrendo le mura, ci aprì un nuovo orizzonte: il mondo della vita, degli incontri, della metamorfosi creativa, si trova in un terzo paesaggio, e quel terzo paesaggio non si trova intra o extra muros, ma paradossalmente nelle mura stesse, tra pietra e pietra, negli interstizi. 

Osservate: nelle mura di Bergamo fioriscono i capperi siciliani, la valeriana rossa mediterranea, l’arbusto lillà delle farfalle, originario della Cina, le felci delle Alpi… Chi le ha portate? Il vento, gli scarponi dei soldati, le fodere dei mercanti… E così, un’opera assolutamente artificiale, invasiva, militare, costruita per separare, chiudere, poi inutilizzata, abbandonata, divenuta zona d’ortaglie, di passeggiate, ha dato vita a un ecosistema accogliente. Passando dalle mura di Bergamo, arriviamo al “Manifesto del terzo paesaggio” proposto da Gilles Clément: “Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività  umana subito si scopre una quantità di spazi indecisi, privi di funzione, che non appartengono né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Tra questi frammenti di paesaggio, un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità”. Il ciglio della strada, la torbiera, l’orlo del bosco, l’area dismessa, le zone marginali, gli edifici abbandonati: sono tutti “spazi delle ginestre”, terre di frontiera, di ibridazione e ricreazione identitaria dove cresce e sopravvive la diversità.

Una notte di settembre me ne andai

Un cambio di prospettiva radicale che ci libera da idee e paradigmi on/off ormai privi di senso reale. Ad esempio: autoctono/esotico, artificiale/naturale. E mette in discussione anche le certezze che legano l’identità alla memoria e al territorio. Perché una concezione biologica, non economica, del territorio, contempla indecisione, instabilità, nomadismo, contiguità, improduttività. I luoghi residuali si modificano, debordano, tendono ad uno stato liquido, resistono ad essere riciclati, cioè governati. Il concetto stesso di paesaggio, in effetti, in quanto strumento di controllo, si oppone alla libera trasformazione, al “brassage”, la mescolanza planetaria all’origine della ricchezza eco-sistemica. “Occorre lasciare spazi all’indecisione, considerando l’assenza di regolamentazione non necessariamente in maniera negativa”. Il Terzo paesaggio è un modello biologico nel quale le piante sono creature vive e libere, che rifiutano d’essere classificate, schedate, distinte in “separate provincie botaniche”, ma sono tutte per natura “vagabonde”, nomadi, scappate di casa, sregolate, senza fissa dimora. 

Chissà dov’era casa mia 

Scendendo dalle mura, passiamo nel parco di villa Agliardi, dove Maria Montessori, grande erba vagabonda, a un bambino che le chiedeva dove abitasse, rispose: “il mio paese è una stella che gira attorno al Sole e si chiama Terra”. In quell’occasione, le fu scattata la foto che in seguito divenne per decenni l’effigie riportata sulle banconote da mille lire.

Soldi in tasca non ne ho 

In compenso, da questo giro delle mura, che adesso viviamo come libera ortaglia, come terzo orto – perché accogliere significa anche raccogliere –  portiamo a casa un sacchetto di cicoria, ortiche, capperi e aglio orsino. E non c’è master chef o master card che possa darti il sapore del piatto che preparerai. (Tagliatelle d’ortica al pesto d’aglio orsino delle mura di Bergamo. Patrimonio dell’umanità).

Testi di Leone Belotti

Illustrazioni di Alessandra Corti

Fonti e riferimenti:

A. Salerno, Io vagabondo, 1972.

G. Clément, Elogio delle vagabonde, 2010; Manifesto del terzo paesaggio, 2004. 

G. Leopardi, Elogio degli uccelli, in Operette morali, 1827.

R. Ferlinghetti, Dalla città lacerata alla città verde, in Bergamo verso l’Unesco, 2016.

Il mercoledì delle piante

Il Mercoledì delle Piante è un’illuminazione, una fecondazione, una forma di comunicazione spontanea in grado di esprimere questioni complesse con il dono della sintesi, anzi della fotosintesi. Come un soffio di vento che si inoltra nella foresta raccogliendo essenze, spore e polline e sorvolando valichi, vallate e interi campi del sapere ti conduce a provare il piacere più intenso, il frutto della conoscenza.

L’oggetto del nostro Mercoledì delle Piante sono le piante stesse e le nostre relazioni con le piante e con il mondo della vita. In casa, in ufficio, nei luoghi pubblici, in città, in ogni luogo e in ogni momento le piante ci danno aria, nutrimento, benessere e modelli relazionali di convivenza sinergica.

Un gruppo di ricerca multidisciplinare si incontra ogni mercoledì nella serra Hydro Ware e mette a confronto idee, notizie, studi e pubblicazioni che toccano aspetti sanitari, alimentari, energetici, economici, psicologici e filosofici e coinvolgono scienze naturali e umane, antiche credenze e nuove tecnologie.

Nato come attività di formazione interna, il Mercoledì delle Piante è diventato un appuntamento di comunicazione: la pubblicazione del report di sintesi è un invito al viaggio, una guida attraverso il fitto sottobosco delle specializzazioni alla scoperta delle frontiere del regno vegetale, che forse non esistono.

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