L’albero della gioia
Proprio quando decidiamo di salvarla, la natura sembra perdere la gioia, la voglia di vivere. Creiamo aree protette, piantiamo alberi su alberi. Ma crescono striminziti, già vecchi, determinati a deperire come prigionieri politici. Che fare?
Ne parliamo con diversi esperti, sono quasi tutti concordi.
Il problema è che tra gli alberi da salvare ci siamo dimenticati di una tipologia indispensabile. Diffusissimo fino a pochi decenni fa e oggi quasi scomparso, l’albero della gioia o la pianta della gioia è un albero nell’albero, una pianta nella pianta. Se muore, la pianta perde vitalità, è triste, spenta. Può essere tenuta in vita, ma non ha gioia e non dà gioia. Chi abbraccia un albero per ricavarne vitalità dovrebbe sapere che a volte è l’albero ad averne più bisogno di noi. Dunque? Abbiamo bisogno di far rivivere l’albero della gioia, vogliamo i semi, la linfa, i frutti della gioia. Senza gioia, senza passione, la nostra vita è un infinito miserere, come dice quella canzone di Zucchero, cantata con Pavarotti.
miserere, misero me
ma che mistero è la mia vita
cosa faccio, come vivo…
Siamo al punto della questione. Non si tratta solo della gioia fine a sé stessa. La gioia ha a che fare con il senso della vita. La gioia di vivere ci viene dalla natura soltanto se siamo disposti a riconoscere alla natura quel rispetto incondizionato che solitamente associamo al divino, ai valori e alle credenze profonde.
La gioia di vivere è connessa al senso del sacro.
Lo sostiene anche l’altro Mancuso, Vito, il teologo. Invitato al festival Molte Fedi, parlando di religioni monoteiste vs religioni politeiste, spiega che il tradimento del cristianesimo (ma non solo) è nell’investire l’uomo di una missione devastante, il dominio della natura, con delega a diviniis, dall’alto dei cieli.
Io sono il santo che ti ha tradito
e vivo altrove e osservo il mondo dal cielo,
e vedo il mare, le foreste
Al contrario dei monoteismi, ogni antica religione politeista, si sottomette, venera e rispetta la natura in ogni sua manifestazione vitale, animale, vegetale. E così pure ogni popolazione nativa che vive in simbiosi con l’ambiente naturale.
Oggi l’urgenza ecologica dimostra il bisogno di tornare a venerare la natura, non solo in privato, in solitudine, ma come specie, come casa comune, ecclesia, ecumene di ogni comunità vivente, vegetale, animale, umana, divina.
Vivo nell’anima del mondo
perso nel vivere profondo
Quella gioia di vivere che ci viene dal nostro essere parte dell’ambiente naturale, membri di una famiglia più estesa, nello spazio e nel tempo. Perché noi non apparteniamo solo alla nostra famiglia nucleare, il nostro DNA non è solo quello dei nostri genitori e antenati, della nostra tribù, ma dell’intera famiglia umana, angeli e demoni compresi. E non solo: noi siamo membri della grande e veramente nobile famiglia floro-faunistica. Il codice dell’anima, scrive Hillman, è nel nostro essere viventi, in relazione diretta con ogni altro vivente. Bestie feroci e mansuete, vermi e farfalle, alberi, foglie e radici.
Ecco il codice dell’anima: non sei solo, sei parte di una schiera, di un organismo più grande. E sei felice al tuo posto proprio come un pezzo nel puzzle, fai parte di un disegno più grande. Tessera minuscola ma unica e indispensabile, come tutte le altre, in terra come in cielo. Sei una rondinella nel grande stormo, sei un piccolo pixel in un mega pdf che migra volando on clouds, tra le nuvole. Sei la gioia di una parola che sfugge da un discorso e corre nel vento, nell’etere.
Sei una preghiera, un’invocazione, una vocazione che diventa musica.
“Che cos’è la vocazione? La cosa che fai con gioia, con il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo” (Josephine Baker, citata da Hillman)
Specchio, specchio delle mie brame: dammi la gioia di vivere.
Guarda questa piccola Guzmania rossa.
Arriva dai tropici, lavora tre anni in qualche serra per poter poi fiorire nel bagno di casa tua e nel giro di tre mesi morire, ma non prima di averti lasciato qualche decina di piccole copie d’autore, germogli basali che devi solo staccare con mano delicata e piantare in nuovo terriccio, e così facendo rinnovare il miracolo della vita.
Gioia è il nome della pulsione insita nella natura…
aziona le ruote del grande meccanismo del mondo..
Fa sbocciare i fiori dalle gemme …
tutti i viventi succhiano gioia dai seni della natura
Beethoven abitualmente faceva camminate estenuanti nel fondo della foresta. Le foglie-parole dell’inno alla gioia di Schiller, lo hanno colto così. Ludwig ne ha fatto una sinfonia nella sinfonia, che riprende e racchiude tutto il creato in un canto corale, a significare proprio questo: la gioia è nell’unità, nella fratellanza, nel “tutti insieme” orchestrale che rigenera il seme in infinite fioriture.
Ecco il codice della gioia: un inno alla gioia. Oggi è l’inno della Comunità Europea. Ritrovare la natura, il senso del sacro, del mistero, del dono, dell’immensità, dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, per ritrovare se stessi.
Il senso del sacro
Come ha spiegato un altro Ludwig (Feuerbach) il senso del sacro, cioè l’essenza di ogni religione, è una pulsione emozionale spontanea che dà senso al vivere e non necessita di alcuna riduzione razionale. Quello che provi sulle vette alpine o nella vastità dei deserti, dei mari, della foresta o anche davanti a un fiore: un sentimento istintivo, sorgivo e viscerale di rispetto, timore, sudditanza.
“Il non esser consapevole di ciò è il fondamento della vera e propria essenza della religione”. “La religione è l’infanzia dell’umanità”.
Più della consapevolezza ecologica, più dell’amore umano, la natura esige un rispetto sacro. Me lo diceva anche mia nonna: meglio avere il rispetto che l’amore. Vale anche per la natura. Rispettala profondamente, e ritroverai la gioia.
Testo:
Leone Belotti.
Illustrazioni:
Alessandra Corti.
Fonti e riferimenti:
Vito Mancuso, Monoteismi/politeismi, conferenze “Molte fedi”, Bergamo, 2023.
James Hillman, Il codice dell’anima, 1996.
Zucchero Fornaciari e Luciano Pavarotti, Miserere, 1992.
Ludwig Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, 1841.
Ludwig van Beethoven, Inno alla gioia, 1824.
Friedrich von Schiller, Inno alla gioia, 1785.