In un mondo che prigioniero è, respiriamo liberi
Nuove sensazioni, giovani emozioni si esprimono purissime. Tra le vie, nelle piazze, sui marciapiedi della città è sbocciato un piccolo rinascimento sociale, una riscoperta del vivere all’aperto dopo il lock-down. Come una pianta che rinnova la sua fioritura, le nuove generazioni stanno rivitalizzando gli spazi urbani, vincendo le paure e le chiusure. Ogni locale pubblico, ogni piccolo bar ha messo in strada panche, divanetti e tavolini quasi commutando il proprio richiamo, la dinamica del flusso umano, non più all’insegna dell’entrare, ma dell’uscire. Le limitazioni, il divieto di assembramento, il rispetto del distanziamento sociale, non hanno soppresso come si temeva il bisogno umano d’incontrare l’altro, ma promosso un modo nuovo, controllato e civile di convivenza e rispetto.
E l’immensità si apre intorno a noi, al di là del limite. Sulle note di una vecchia e intramontabile canzone di Battisti, Il mio canto libero, tra i tavolini di un bar, osserviamo una pianta di Ficus, che ha sempre fatto questo lavoro, separare e proteggere, con garbo e gentilezza. Mantenere la distanza è qualcosa che le piante hanno sempre saputo fare con naturalezza.
Gli studiosi di botanica usano un’espressione curiosa, quasi poetica, “la timidezza della corona”, per indicare il fenomeno di auto-controllo reciproco di sviluppo della corolla onde evitare il contatto tra una pianta e le sue vicine. Questo comportamento schivo degli alberi è stato notato per la prima volta nel 1982 dal biologo Francis Putz che sdraiandosi a riposare sotto una foresta di mangrovie si rese conto che le chiome degli alberi non si toccavano, come se ogni ramo avesse una sua forma di riservatezza per evitare il contatto con le foglie del vicino. “Faccio spesso grandi scoperte durante il momento del sonnellino”. In seguito si è compreso che grazie alla “timidezza della corona” le piante si proteggono a vicenda, permettendo alla luce di penetrare ed evitando di passarsi insetti nocivi, microbi e parassiti.
Meg Lowman, biologa forestale e direttrice della TREE Foundation, lo ha spiegato chiaramente: “La timidezza della corona è la versione arborea del distanziamento sociale: evitando il contatto gli alberi stanno in effetti proteggendo la propria salute”. La recente epidemia causata dal fungo “Chalara Fraxinea” che in simultanea con il corona virus ha aggredito il frassino in tutta Europa ne è una conferma: mentre in molti paesi il 90% delle piante è stato colpito, nel nord della Francia, dove la distanza tra gli alberi è maggiore, soltanto il 10% si è ammalato.
Il biologo Mark Rudnicki e l’ecologa forestale Inés Ibáñez, della Michigan Technological University, dopo aver studiato il comportamento dei Pinus canadesi, ipotizzano che “gli alberi potrebbero aver imparato a smettere proprio di crescere alle estremità, come se gli alberi fossero previdenti: qui è meglio non crescere perché non ne vale la pena”.
La lezione che ci viene dalle piante, come sempre, è chiara e limpida: la giusta distanza non impedisce, ma favorisce la vita. La timidezza della corona può vincere la paura del corona virus.
La veste dei fantasmi del passato, cadendo lascia il quadro immacolato. E s’alza un vento tiepido d’amore, di vero amore.
E questa pianta di Ficus, con la sua regalità (la denominazione scientifica di Ficus Binnendijkii Alii ne rivela l’origine hawaiana e il significato di “re, testa coronata”) lo conferma. Come anche la canzone di Battisti. Tra individui vitali, avere una relazione significa essere a fianco.
E riscopro te, dolce compagna che non sai domandare ma sai che ovunque andrai al fianco tuo mi avrai.
Testo: Leone Belotti.
Illustrazioni: Alessandra Corti.