Forse non lo sai
Forse non lo sai
ma pure questo è amore
Non è una malattia, la bio-filia, ma una forma d’amore. Letteralmente significa “amore per la vita”, un amore viscerale e senza fine per tutto ciò che è vivo, un’attrazione istintiva per ogni creatura vivente nonostante sia diversa da noi, o forse proprio per questo. Il primo a parlarne è stato il naturalista Edward O. Wilson con la pubblicazione quarant’anni fa di un libro intitolato per l’appunto “Biophilia”. Che è anche un bisogno di affiliazione, un desiderio di con-vivere che ci porta ad addomesticare gli animali, coltivare le piante e sentirci parte dell’ambiente naturale.
“Il primo passo per la sopravvivenza è per tutti gli organismi la scelta dell’habitat. Se andate a stare nel posto giusto, è probabile che tutto il resto verrà semplificato”.
Come ogni animale, anche l’uomo ha memoria innata dell’habitat ancestrale.
“Per due milioni di anni abbiamo vissuto nelle savane dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia, habitat naturale per il cacciatore-raccoglitore a locomozione bipede. Tre caratteristiche: abbondanza di piante e animali, presenza di rilievi e boschetti per avere vedute e ripari e infine prossimità all’acqua di fiumi, laghi o rive marine”.
Dalla savana, in un battito di ciglia siamo arrivati alla società industriale.
Ed il più grande conquistò nazione dopo nazione
e quando fu di fronte al mare si sentì un co……
perché più in là non si poteva conquistare niente
L’amore per la vita, estirpato insieme alle foreste pluviali.
“Peggio di una catastrofe nucleare, che colpirebbe due o tre generazione. La distruzione della biodiversità e degli habitat naturali richiederebbe milioni di anni”.
e costruì un delirante universo senza amore
dove tutte le cose hanno stanchezza di esistere
e spalancato dolore
e capì tardi che dentro
quel negozio di tabaccheria
c’era più vita di quanta ce ne fosse
in tutta la sua poesia
Il bisogno di vita, di essere circondati dalla vita, rinasce proprio laddove tutto è artificiale: nelle città, negli appartamenti standard, negli uffici. Tutti vogliono andare a vivere in città, ma appena possono scappano in cerca della natura.
“In ambienti artificiali si può crescere con un’apparenza di vita, come scimmie in gabbie da laboratorio, ma gli artefatti, facciate prive di vita, portano involuzione”.
La memoria genetica dell’habitat naturale riaffiora in tutte quelle piccole attenzioni per rendere “vivibile” lo spazio interno e quei “ricordi” presenti nel paesaggio urbano, terrazze, giardinetti, cortili, hall. Come già facevano migliaia di anni fa gli abitanti di Pompei o del Giappone, con i loro minuscoli giardinetti esemplari, dotati di alberelli, fiori e acqua.
Oggi il design d’interni ha codificato i caratteri dell’habitat biofilico: materiali naturali, facciate verdi, luce solare, motivi botanici o biomorfici, connessione con il paesaggio e il luogo specifico. Si parla di relaxing floors, cross ventilation e living walls per una “healthy home” post pandemia.
Perfino la meccano-filia, sostiene Wilson, è una forma di biofilia: concepiamo i nostri veicoli come creature vive con il muso e la coda, gli occhi e la voce. In Italia i furgoni si chiamavano orsetto, tigrotto, lupetto, leoncino; le motociclette stornello, aquilotto, falcone, galletto. E poi l’insetto magico della piccola distribuzione, di fiore in fiore: l’ape! Il design biofilico oggi riprende quelle forme morbide, biomorfiche e arrotondate che ispirano tenerezza, protezione e accoglienza. Ma la vera sfida è portare la biofilia nella ricerca, adottare la mentalità del naturalista, che nella biodiversità scopre risorse naturali e soluzioni sostenibili.
“Il naturalista è un cacciatore civilizzato” “Noi andiamo alla ricerca di conoscenza, quanto maggiore è la conoscenza tanto più profondo è il mistero. Questo ci spinge continuamente alla ricerca di nuovi luoghi, nuova vita”
Abbiamo bisogno di life designer. Ogni giorno possiamo essere creatori di vita.
Invece di continuare a tormentarsi in un mondo assurdo
basterebbe rispondere a uno sguardo
A differenza di insetti e piante che reagiscono a vibrazioni e odori, noi siamo esseri audio-visivi, percepiamo suoni e immagini e comunichiamo con le parole.
“Siamo la specie poetica” scrive Wilson “che può cambiar sé stessa e il proprio comportamento cambiando le parole che usa”.
Ci mancano, ci servono passioni e parole vere, forti, sentite. Amare la vita e comunicare amore sono due cose inscindibili.
E non aver paura di essere ridicoli
solo chi non ha scritto mai lettere d’amore
fa veramente ridere
Testi:
Leone Belotti
Illustrazioni:
Alessandra Corti
Fonti e riferimenti:
Roberto Vecchioni, Stranamore, 1978
Roberto Vecchioni, Le lettere d’amore, 1995
Edward Osborne Wilson, Biophilia, 1984