Chi vuol essere fico sia

Ci sono almeno 800 modi per essere fico. Puoi essere un fico bonsai, un fico da interni, un fico rampicante, un fico comune, un fico reale o anche un fico religioso. Puoi vivere tra le pagode o dietro un garage. Che cosa ti rende veramente fico? 

Il maschio umano ha sempre avuto come pianta guida il fico. Ha sempre desiderato essere fico, diventare fico, sentirsi fico nelle radici, profondamente fico. Un motivo ci sarà.

Prendiamo un fico comune, di campagna o di città. Spesso solitario, residuale, presso un fosso, una santella, un muro di confine, un trivio. Della sua ombra e dei suoi frutti hanno profittato viaggiatori, soldati, profeti, amanti, ciclisti. Chi l’ha potato e curato, chi l’ha ignorato, trascurato. Intorno al fico è cambiato tutto. Le cascine, i capannoni, i discount. E il fico è sempre lì. Un punto di riferimento. Ci vediamo al vecchio fico. 

Il suo legno è fragile, non regge pesi, teme i fulmini. Ma le sue radici sono fortissime, salde, inestricabili. Presidia questo scorcio, questo frammento di territorio come fosse la sua diocesi. Il fico è il genius loci. Un richiamo d’amore, d’appartenenza e identità. Questo è essere fico.

Seguendo questo richiamo, il filosofo-alpinista norvegese Arne Naess, uno dei padri del pensiero ecologista, a un certo punto, dopo aver scalato la morale di Kant e le vette del Karakoroum, è andato a vivere in solitudine in una sua baita sperduta tra i ghiacciai artici della Norvegia. “Io appartengo a questa terra”, “noi siamo l’aria che respiriamo”. Gli specialisti dell’aria, il fico Benjamin e il fico Binnendijkii, annuiscono.

Come è accaduto a tanti eremiti che cercavano Dio padre, ha trovato madre Natura. E ha dato un nome alla filosofia della natura: ecosofia. Conoscenza, amore e cura della natura. 

Fin dagli anni Settanta ha capito cosa sarebbe successo ed ha coniato l’espressione “deep ecology”, ecologia profonda, in contrapposizione all’ecologia superficiale che sarebbe diventata dominante. Come gli antidolorifici, l’ecologia superficiale elimina i sintomi ma non affronta la malattia, non mette in discussione il nostro rapporto con la natura. Produce auto meno inquinanti, allo scopo di produrre più auto. Ci fa dire e ripetere controsensi, ossimori, come “sviluppo sostenibile” e “consumatori consapevoli”. Un vero fico si ribella. Ha il coraggio di dire: “non è la terra malata, siamo noi”. Profondamente malati, nell’anima. 

Prendiamo il fico religioso più famoso e antico del mondo, il Bodhi. Era l’anno 223 a.C. quando Siddharta, il futuro Buddha, si sedette sotto questo fico dicendo: “la mia pelle può avvizzire, la mia carne può dissolversi, ma non mi muoverò da questo posto finché non avrò raggiunto l’Illuminazione”. Il fico evidentemente rispose: “nemmeno io”. E infatti è ancora là. 

Un fico religioso è Raimon Pannikar, altro grande guru dell’ecologia profonda e dell’ecosofia, mistico del 900, cattolico, induista, buddhista, ateo, leader del dialogo interreligioso. “La nuova innocenza” supera le barriere, riscopre una nuova e antichissima forma di vita pre/post religiosa, animista: gli animali, le piante, la terra, l’acqua, l’aria, ogni forma di vita è animata. Tutto è in relazione d’amore e di sapienza. Un nuovo paradigma culturale. Conoscere non è possedere, ma rinascere insieme. “Abbracciare la natura, non conquistarla”. La natura non è un oggetto da sezionare, misurare e classificare. Diritti delle piante? Sacralità delle piante! Rispetto del mistero della vita e dei suoi cicli naturali. 

Una relazione vitale con lo spazio, con il nostro corpo, capace di sentire il corpo/ambiente.

Uno diversa relazione con il tempo. Siamo schiavi del tempo lineare della macchina, del dio cronometro. Ma il tempo della vita è ciclico: non ha senso guadagnare tempo, bisogna tenere il tempo, stare a ritmo con la danza della vita. Sentire la musica della natura, l’armonia, percepire la forma/struttura musicale della vita.

Prendiamo un fico della musica, un fico lirico. Le sue foglie sono violini che risuonano al vento. La sua forma/funzione è la musica, il sussurro, il pensiero della natura. 

In quel 1977, mentre Naess e Pannikar davano vita all’ecologia profonda, Lucio Dalla era già un fico della musica in quanto forma di pensiero, di conoscenza naturale.

È chiaro che il pensiero dà fastidio, 

anche se chi pensa è muto come un pesce.

Il pensiero come l’oceano non lo puoi recintare.

Com’è profondo il mare, com’è profondo il mare.

Prendiamo l’albero della conoscenza, del bene e del male, che Michelangelo ha dipinto nella Cappella Sistina: è un fico. In origine era un fico. Il melo è arrivato dopo, per un errore di traduzione (in latino malum è sia il male che il melo, ma questa è un’altra storia). 

Ogni fico porta con sé la memoria ancestrale dell’albero della conoscenza. Per questo il fico è memoria, identità, scelta. Per questo ogni fico è sempre doppiamente fico, essendo prima di tutto un fico del pensiero, del sapere, della coscienza. 

Il fico ti mostra la strada. “Gli alberi e le pietre ti insegneranno cose che i docenti non possono insegnarti” (San Bernardo di Chiaravalle). Con i suoi fragili rami e le sue radici saldissime. Come David Maria Turoldo, frate e poeta, creatore di una comunità che oggi edita in Italia i libri di Pannikar. Decenni fa, scriveva:

Tempo è di tornare poveri / per ritrovare il sapore del pane, / per reggere alla luce del sole / per varcare sereni la notte / e cantare la sete della cerva. /

E la gente, l’umile gente / abbia ancora chi l’ascolta, / e trovino udienza le preghiere. 

/ E non chiedere nulla. 

Se vuoi essere fico oggi il tuo sport estremo, la tua filosofia di vita è l’ecologia profonda. Contro tutto e tutti. Cambiare visione del mondo, da antropocentrica a ecologica. Emanciparsi dalla tecnocrazia, appartenere a un luogo, liberare il sé ecologico, scoprire una nuova innocenza, evitare il turismo, salvaguardare la biodiversità e la diversità culturale. Una mission impossible, ma una meta fantastica: la saggezza della terra, la gioia del vivere.

Abbiamo trovato il carattere comune delle 800 specie di fico. Dove c’è un fico, c’è sapienza. Ubi ficus ibi sophia. Coraggio. Il paradiso della conoscenza è la vera zona erogena. Di doman non v’è certezza, chi vuol esser fico sia. E non chiedere nulla.

Testi: Leone Belotti.

Illustrazioni: Alessandra Corti

Fonti e riferimenti:

Arne Naess, Siamo l’aria che respiriamo, saggi di ecologia profonda, Piano B edizioni, 2021.

Raimon Pannikar, Ecosofia. La saggezza della Terra, Jaca Book, 2015.

Lucio Dalla, Com’è profondo il mare, 1977.

David Maria Turoldo, E non chiedere nulla, da Canti ultimi, 1991.

Il mercoledì delle piante

Il Mercoledì delle Piante è un’illuminazione, una fecondazione, una forma di comunicazione spontanea in grado di esprimere questioni complesse con il dono della sintesi, anzi della fotosintesi. Come un soffio di vento che si inoltra nella foresta raccogliendo essenze, spore e polline e sorvolando valichi, vallate e interi campi del sapere ti conduce a provare il piacere più intenso, il frutto della conoscenza.

L’oggetto del nostro Mercoledì delle Piante sono le piante stesse e le nostre relazioni con le piante e con il mondo della vita. In casa, in ufficio, nei luoghi pubblici, in città, in ogni luogo e in ogni momento le piante ci danno aria, nutrimento, benessere e modelli relazionali di convivenza sinergica.

Un gruppo di ricerca multidisciplinare si incontra ogni mercoledì nella serra Hydro Ware e mette a confronto idee, notizie, studi e pubblicazioni che toccano aspetti sanitari, alimentari, energetici, economici, psicologici e filosofici e coinvolgono scienze naturali e umane, antiche credenze e nuove tecnologie.

Nato come attività di formazione interna, il Mercoledì delle Piante è diventato un appuntamento di comunicazione: la pubblicazione del report di sintesi è un invito al viaggio, una guida attraverso il fitto sottobosco delle specializzazioni alla scoperta delle frontiere del regno vegetale, che forse non esistono.

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