Mia carissima Kleinia, viviamo insieme da un anno, è ora di parlare.
Quando sei arrivata mi avevano detto molte cose su di te, che si sono rivelate vere. Dal mio diario: “Il suo nome botanico è sempre stato Senecio rowleyanus, al maschile, solo recentemente è stata riclassificata al femminile, Kleinia rowleyana. In realtà tutti la conoscono come la collana di perle, o pianta del rosario, perché le foglie hanno forma di bulbi, sembrano perle”.
“D’aspetto cangiante, traslucida, cambia colore col tempo. Stravagante, inconfondibile e un po’ snob, vive a modo suo, fiorisce a ferragosto e per essere una pianta grassa beve parecchio. Ma non sopporta assolutamente l’acqua fredda”.
“Per il resto ha un atteggiamento decadente e preferisce stare in alto, meglio ancora in sospensione. Distaccata, anaffettiva, si considera una pianta ornamentale d’alto livello, totalmente aliena da afflati religiosi o sentimenti romantici. Accetta con umorismo di essere chiamata pianta del rosario, ma non vuole avere nulla a che fare con storie d’amore, rose, roseti, rosari, miracoli, madonne e preghiere.”
Bene, Kleinia, preparati, perché le cose per te cambieranno.
Nei prossimi mesi, io sarò quasi sempre in viaggio, e mia madre verrà a vivere qui. Adora ascoltare vecchie canzoni ad alto volume, e cantandoci pure sopra. La sua preferita racconta un amore sbocciato a maggio, in un roseto.
Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
Addurava de rose a ciento passe
Ma ecco che i due innamorati devono separarsi, lui deve partire, lei è disperata.
Tu mme lasse, io conto ll’ore
Chisà quanno turnarraje!
Tornerà? Forse è un emigrante, forse deve andare in guerra, non lo sappiamo.
Rispunnev’io: “Turnarraggio
Quanno tornano li rrose”
Capisci? L’amore vive di speranze e di promesse. E di preghiere.
Meglio dirtelo subito: quando viene sera, ogni sera, mia madre recita il rosario. Non ti agitare. Sarebbe ora che accettassi il tuo nome, pianta del rosario, e tutto quel che significa, anche per te. Se ti chiami pianta del rosario, se somigli a un rosario…
Per cominciare sappi questo: così come tu svolgi una funzione di rigenerazione dell’aria, anche la recita del rosario è una forma di pulizia, di ecologia della mente, proprio per la sua modalità a litania, non diversamente dalla ripetizione del mantra. Sì cara, è stato dimostrato scientificamente.
D’altra parte la tradizione del rosario è molto più radicata di te. La venerazione della Madonna riprende l’antico culto per la Dea Madre, la terra madre, Maia, che dà nome a Maggio, il mese della fertilità, della vita che sboccia, delle rose.
L’Ave Maria nel Trecento diceva così: e benedetto sia il prato fiorito di rose rosse del tuo bei viso. Nel Cinquecento si diffonde l’usanza di circondare di ghirlande di rose le statue della Madonna e di annodare 50, 100 o 150 sassolini, semi o perline da sgranare nella recita. Recitare le preghiere come offrire rose, per questo rosario.
Se hai letto “Il nome delle rosa” saprai che il senso, l’essenza, lo spirito di ogni cosa, anche di una rosa, non è nella materia, nella cosa, ma nel nome, nella rosa.
Alla fine quel che ci resta delle cose sono impressioni, ricordi, segni, parole, nomi. L’ultima frase del libro spiega il titolo, “nuda nomina tenemus”, soltanto i nomi tratteniamo, tutto il resto è polvere. Il tempo passa, il mondo cambia…
Passa lu tiempo e lu munno s’avota
Ma ‘ammore vero no, nun vota vico
De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje
Amore non muore mai, è questa l’idea, il credo. Un sentimento condiviso, che spinge le nonne a recitare il rosario e gli innamorati a regalare rose come pegni d’amore.
Fatti forza, Kleinia, puoi farcela. Sei sopravvissuta alla musica tecno, al jazz, al 5G, ai martelli pneumatici dei muratori che facevano il cappotto, puoi sopportare anche mia madre, le sue canzoni e le sue preghiere.
E quando tornerò, ti canterò l’ultima strofa della canzone.
Core mio, turnato io só’
Torna maggio e torna ‘ammore
Fa’ de me chello che vuó’!
Testo: Leone Belotti
Illustrazioni: Alessandra Corti
Fonti e riferimenti:
Alfonso di Castiglia, Las antigas de Santa Maria, 1270
Enrico di Costanza, Libretto dell’antica sapienza, 1350
Salvatore Di Giacomo, Era de maggio, 1885
Umberto Eco, Il nome della rosa, 1980