Il vero regalo, il grande messaggio che anche un’umile pianta d’appartamento o da ufficio, al di là delle sue funzioni decorative e ambientali, rimanda in ogni istante ad uso del nostro inconscio, è questo: dove c’è una pianta, c’è desiderio. E il desiderio, oggi, come già cantava Giorgio Gaber, è la cosa più importante.
Perché questa sorta di linfa che anima e accomuna le piante e gli esseri umani è diventata l’ultima difesa, l’ultima frontiera che distingue le creature naturali da quelle artificiali. Non l’intelligenza, non la memoria e nemmeno la coscienza, ma il desiderio.
Il desiderio è l’emozione del presente, è l’esser vivi in tutto ciò che si può fare.
Non è un bisogno, non è un programma, non è una scelta, il desiderio, ma un’attrazione un po’ incosciente, che nasce misteriosamente e orienta emozionalmente il nostro vivere, la nostra connessione 5 sensi + 1 anima, la nostra commovente condizione umana che anche in un quadro insensato ci regala felicità impensabili e illuminazioni imprevedibili.
Il desiderio è quando inventi ogni momento, è quando ridere e parlare è una gran gioia.
Una forza vitale irrazionale, rigeneratrice, capace di innesti, di sorprese. Il desiderio resiste, rinasce, da un rimpianto può sbocciare una speranza, non ci sono limiti, contraddizioni. Un ricercare le nostre radici e allo stesso tempo un essere attirati dalla luna e dalle stelle: tutto questo fa di noi creature vibranti come le piante, radicate in terra eppure protese al cielo.
Il desiderio è la radice di una pianta delicata che se sai coltivare ti tiene in vita.
In realtà, è proprio dalla relazione con le piante che si sviluppa la struttura del nostro desiderare.
Lo spiega in modo abbastanza convincente Michael Pollan, docente all’Università di Berkeley, premio Reuters per il giornalismo ambientale, in un piccolo grande libro dal titolo perfettamente esplicativo: “La botanica del desiderio”.
Le piante nutrono e dissetano non solo il nostro corpo, ma la nostra psiche. Accendono i nostri sensi, creano connessioni, scatenano emozioni e sensazioni. Il profumo e il colore dei fiori, il sapore e il succo di un frutto, le sostanze psicotrope estratte dalle radici, i distillati delle erbe alimentano i nostri desideri cardinali, la bellezza, l’amore, il piacere, l’ebbrezza. Fanno nascere la poesia, la pittura, la medicina, la scienza.
E con ciò siamo al desiderio di sapere e di comprendere che si manifesta nel gesto di mordere la mela, il primo marchio, l’imprinting ever-green della civilizzazione occidentale, dalla Genesi al logo Apple. Desiderio di riprodurre la vita, di concepire, di creare. Desiderio di fecondare quel vuoto che abbiamo dentro, nella pancia, nell’anima, e renderlo fertile, fiorente, fruttifero.
Il primo impulso per conoscere e capire. Tensione, sforzo, tentativo di colmare la distanza siderale che separa la nostra natura terrena da quel richiamo all’infinito che il cielo, la luna e le stelle esercitano su di noi. Nei “Ritratti del desiderio” il filosofo Massimo Recalcati scrive che il desiderio è “una ricerca per riuscire a trovare la propria stella”. La parola stessa desiderio nella sua etimologia latina indica questa traiettoria, questa ispirazione “de-sidera”, dalle stelle.
Perché noi in realtà desideriamo l’infinito, desideriamo essere come stelle che brillano nel cielo. O fiori che sbocciano nel giardino di chi ci ama.
Siamo esseri imperfetti, limitati, mortali, ma infinitamente desideranti. Una pianta qualsiasi dice tutto questo, in ogni momento.
Testo: Leone Belotti.
Illustrazioni: Alessandra Corti.