Il mercoledì delle piante

Le piante di Artemide e le piante di Apollo

Fino a non molto tempo fa, anche noi umani avevamo la percezione di avere radici comuni con altre forme di vita e ci sentivamo partecipi della metamorfosi di rigenerazione degli alberi, delle ninfe, dei fauni e degli Dei. Poi il dissidio, il distacco tra uomo e natura che la mitologia greca rappresenta con la nascita dei due gemelli divini dal carattere opposto, Artemide e Apollo.

Artemide incarna la natura selvaggia, spontanea e rigogliosa. Apollo invece, nato dopo la sorella e con il suo aiuto, impersona la natura civilizzata, progettata e contenuta. Lei è la foresta, le fonti, la terra, la materia, la metamorfosi, l’oscurità, la luna. Lui è il giardino, la casa, il tempio, la forma, l’architettura, l’arte, la luce, il sole.

L’oscurità del sottobosco crea il mistero, l’ascolto della sorgente sollecita l’immaginazione. (1)

Con Artemide-natura e Apollo-civiltà inizia una storia controversa, ciclica. Dal loro scontro-incontro sorge il pensiero, la filosofia, l’arte e soprattutto il paesaggio, l’ambiente naturale/umano integrato e armonioso.

Un paesaggio bisogna sentirlo come corpo, ogni paesaggio è un corpo ideale per una particolare specie dello spirito. (2)

Templi e santuari sono luoghi nei quali la natura a contatto con la civiltà emana e trasmette bellezza e meraviglia, commozione, energia e forza d’animo… Qualcuno le chiamerebbe fabbriche dell’anima!

Questa sublime bellezza scompare con la fine del mondo antico.

Nella lunga notte del Medioevo la natura e la civiltà sono universi separati, ostili. La parola foresta deriva da “foris”, che significa “fuori dalle mura”, esclusa dalla civiltà. Sarà merito di alcuni geni solitari riavviare il dialogo con la natura. Nelle sue camminate senza fine Petrarca scopre che esistono boschi sacri e santuari ovunque l’animo li sappia scorgere.

In nessun luogo il mio ingegno è più fecondo e più pronto che nei boschi e sui monti, in nessun altro luogo mi sovvengono pensieri splendidi. (3)

Poco dopo, con l’Umanesimo e il Rinascimento, c’è la riscoperta dei classici e quasi consequenzialmente la nascita dell’archeologia e il sorgere di un nuovo desiderio nell’animo di artisti e scrittori: recarsi fisicamente nei luoghi dell’antichità conosciuti attraverso i libri o i reperti dei musei.

Goethe inaugura il Grand Tour in Italia di poeti, romanzieri, intellettuali, pittori, scultori e architetti d’ogni paese europeo. Stendhal, Byron, Mary Shelley, Ruskin. Thorvaldsen a Roma scopre lo scultura neoclassica, Turner la luce, Corot la pittura en plein-air, Bocklin il romanticismo duro e puro.

Ma l’esperienza decisiva che i “tourists” vivono in Italia è questa: venuti per “scoprire” le rovine e rilanciare l’arte e l’architettura classica, restano invece affascinati dalla bellezza selvaggia del paesaggio creato dalla natura insediatasi tra le rovine. Cercavano l’armonia di Apollo, hanno trovato l’energia di Artemide.

La terra è coperta da un’energica vegetazione e da piante parassite che si infiltrano e adornano le rovine, quasi che la natura rigogliosa rifiuti i lavori dell’uomo. (4)

Il risultato è la nascita di una nuova sensibilità e di una nuova dimensione, l’estetica del Romanticismo, che investe ogni cosa, non solo le opere d’arte, ma il paesaggio, le creature viventi, gli oggetti quotidiani, le esperienze sensoriali. La grande bellezza non è nelle cose, ma negli occhi e nel cuore di chi guarda. Lo sguardo romantico vede la storia nascosta nelle rovine, i volti e le passioni degli antichi eroi. La sensibilità romantica trasforma la polvere del tempo in polvere di stelle.

Gli Dei sono il luogo. Il mito, la poesia nascono nella consacrazione di un luogo cui si dà significato assoluto. Così sono nati i santuari, così i luoghi dell’infanzia ritornano alla memoria. In essi accaddero cose che li hanno resi unici. (5).

Il cuore pulsante di queste “fabbriche dell’anima” è costituito dalle piante, dall’acqua, dalla vegetazione: se noi oggi nel tempio di Delfi o alle fonti del Clitunno riviviamo lo spirito dell’età dell’oro, è perché le piante, gli arbusti, le ombre, i fiori e gli aromi che avvolgono le rovine sono vivi e vegeti come allora e funzionano da vettore sensoriale. I siti storici patrimonio dell’umanità, ma anche i luoghi del cuore personali, sarebbero muti se privati della relazione mitica con l’ambiente naturale.

Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva ed entrando nei boschi desertissimi e stringendo un albero al seno lo sentivi palpitare. (6)

Siamo abituati con Apollo a pensare alla bellezza come segno perfetto, eterno, ma quando Artemide si riprende il paesaggio trasforma cimiteri in paradisi. Che si tratti degli acquedotti romani o della centrale di Chernobyl il risultato è lo stesso. E mentre noi ci attiviamo per tutelare le aree naturali, la natura zitta zitta cura e rigenera le aree dismesse e i paesaggi umani in rovina, offrendoci l’insostenibile bellezza del tempo che scorre, della metamorfosi, del fluire cangiante, del verdeggiare e infuocarsi per poi ingiallire e scolorire, lasciandoci del passato impressioni vive che sono semi, segni per immaginare e coltivare il futuro.

Chiudi gli occhi un momento e davanti vedi il futuro già

siamo tutti in ballo, siamo sul più bello 

in un acquarello che scolorirà (7).

Testo:
Leone Belotti.

Illustrazioni:
Alessandra Corti.

Fonti e riferimenti:

1 – Frederich Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia.

2 – Novalis, Frammenti.

3 – Francesco Petrarca, De vita solitaria.

4 – Madame de Stael, Diari.

5 – Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò.

6 – Leopardi, Zibaldone.

7 – Toquinho, Acquarello, 1983.

8 – Massimo Venturi Ferriolo, Percepire paesaggi, 2009.

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