I nostri antenati del Paleolitico non avevano la certezza che l’inverno finisse. Lo speravano. Nel solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, al culmine della paura, si riunivano attorno a un albero sacro.
Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
Oggi noi siamo in una situazione simile. Abbiamo paura che non ci sia un domani. Non siamo sicuri che basterà piantare qualche albero, scrivere green su ogni packaging e passare all’auto elettrica. Nel nostro inconscio si agita il timore che la transizione ecologica sia un serpente che si morde la coda, come la fuga di Edipo dalla profezia: il suo tentativo di sfuggire alla rete del destino era esso stesso la rete del destino.
Sostenibilità? Parafrasando allegramente Goebbels (“Quando sento la parola cultura, metto mano alla mia pistola”) il filosofo Timothy Morton si presenta con una risata: “Quando sento la parola sostenibilità, metto mano alla mia crema solare”.
La sua “Ecologia oscura” è un testo-manifesto inquietante e irriverente.
La Natura incontaminata? Un’invenzione romantica, contro natura. La distinzione umano-non umano, naturale-artificiale? Del tutto artificiale. L’agricoltura? Il peggior errore nella storia del genere umano. Foresta, campo, aratro, deserto. Il vero peccato originale.
“Il suolo sarà maledetto per causa tua, ne mangerai il frutto con affanno” (Genesi).
La maledizione dell’Antropocene ha inizio 12.000 anni fa con l’avvento dell’agri-logistica, nata per scongiurare “l’ansia di procurarci il prossimo pasto”. L’agricoltura presuppone l’industria, la religione, la scrittura. Porta con sé l’etica dell’interesse personale, la proprietà privata e la guerra. “L’agricoltura nasce già armata. I carri armati in principio erano aratri”. “Noi americani stiamo distruggendo il suolo arando i campi più velocemente di qualsiasi umano ci abbia preceduti”.
Numeri mostruosi, situazioni mostruose. Il 50% delle forme di vita animale si è estinto negli ultimi 50 anni. La fauna selvatica è ridotta al 3% del totale dei vertebrati (32% esseri umani, 65% animali destinati all’alimentazione umana). Ma non è stato “il sonno della ragione” a generare tali mostri, bensì “questa razionalità vigilante e insonne” (Deleuze e Guattari).
Abbiamo bisogno di un nuovo approccio, di una nuova consapevolezza ecologica.
L’ecologia oscura inizia dallo scoperta perturbante, come in certi noir, che il detective si rivela essere il criminale. “A nessuno piace vedere il proprio inconscio smascherato”.
In cerca di una possibilità di coesistenza futura, non basta “controllare le emissioni” e nemmeno cambiare sistema economico-produttivo. Dobbiamo proprio cambiare il sistema filosofico-culturale. Affrontare l’origine, l’ansia originaria dell’esistere umano.
Quella sensazione d’insensatezza. Il divario costitutivo della coscienza umana: “ogni cosa è al contempo se stessa e qualcosa di diverso da se stessa” (Kant).
“Essere una persona significa essere preoccupato riguardo alla possibilità di non esserlo. La paranoia è la prerogativa basilare dell’essere consapevole” (Morton).
Che cosa mi rende me stesso? Il mio corpo, la mia mente? Stiamo abituandoci all’idea che la mente non sia una prerogativa esclusivamente umana.
E se io fossi un algoritmo? E se fossi un vegetale?
Riportami nelle zone più alte
In uno dei tuoi regni di quiete
Un essere umano, come ogni forma di vita, è un ecosistema, una comunità simbiotica di batteri, liquidi, processi chimici, materia instabile, semi, codici, algoritmi.
“Ci accorgiamo dell’esistenza di uno strumento quando si rompe” (Heidegger)
“Anche la più saggia delle persone è un ibrido tra una pianta e un fantasma” (Nietzsche).
“Le piante sono manifestazioni della volontà: semplicemente, crescono” (Schopenhauer).
La consapevolezza ecologica proposta da Morton è una sfida perturbante. Abbatte certezze basilari, il concetto di natura, di umanità, la logica binaria vero/falso, on/off… Rivaluta parole e pulsioni demonizzate dall’ambientalismo standard: il narcisismo, il consumismo perfino.
Nel consumismo, nel desiderio di simbiosi con l’effimero, con la bellezza, Morton rintraccia un ponte, un “passaggio segreto” verso l’eco-gnosi, dove esistere è coesistere, e tutto il peso della colpa, dell’angoscia si traduce in una deliziosa e consapevole finzione – come del resto è la fioritura delle piante – ovvero una gaia scienza del vivere, non violenta, malinconica, ebbra e liberatoria. “Quando fai esperienza della bellezza, hai la prova che esiste almeno una cosa che non sei tu” (Morton).
“Le rose avevano l’aspetto di fiori che sono guardati” (T.S. Eliot).
“Le piante sentono il bisogno di un individuo estraneo e intelligente per passare dal mondo della volontà a quello della rappresentazione” (Schopenhauer).
Guardare le piante, coglierne la bellezza. Esistiamo come spettatori delle piante. Siamo applicazioni delle piante. Se possiamo sopportarlo, allora finalmente possiamo accettare anche la morte “come un immenso sollievo cognitivo” (Morton). E passare la notte più lunga intorno all’albero sacro, pregustando la gioia della fioritura che verrà.
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai
Testi di Leone Belotti
Illustrazioni di Alessandra Corti ispirate da opere di Nils Udo
Fonti e riferimenti:
Franco Battiato, L’ombra della luce, 1991
Timothy Morton, Ecologia oscura, 2021