Il caldo dà alla testa, si sa, specialmente ai cervelloni.
Questo mercoledì noi piante abbiamo fatto un esperimento. Dopo aver selezionato quattro semi-umani dell’albero della conoscenza (ingegnere, letterato, artista, musicista) li abbiamo messi in una grossa ghianda climatizzata e li abbiamo inviati a Mantova con precise istruzioni: piantarsi nel vivaio editoriale Corraini, che da sempre cura e coltiva i libri-alberi di Munari, e far nascere un nuovo libro-pianta, con le nostre storie del mercoledì.
Ma appena dischiuso il guscio, sotto il sole rovente di mezzogiorno, il nostro quartetto di semi-umani è esploso in ogni direzione, seguendo il comportamento atavico dei semi. Dimenticandosi della missione, ognuno è schizzato in cerca di un po’ d’ombra, con esiti sorprendenti.
L’ingegnere botanico, da ateo intransigente, è filato dritto in chiesa, nella basilica di Sant’Andrea, e nella penombra si è messo a recitare un inedito “mea culpa”.
«Parliamo tanto della luce, e mai una parola sull’ombra! Ci preoccupiamo di qualità dell’aria e qualità della luce e ignoriamo la qualità dell’ombra. Sappiamo tutto dei frutti, dei fiori, dell’ossigeno, degli zuccheri che ogni pianta produce assorbendo la luce… ma ogni funzione vitale di una pianta è indissolubile dalla sua ombra, da quel che accade nella sua ombra, tra il terreno e il fogliame! il processo di evapo-traspirazione! L’altra faccia della fotosintesi, la perfetta tecnologia naturale di climatizzazione. Un edificio all’ombra delle piante riduce del 90% l’energia necessaria al suo raffreddamento, e a differenza dei condizionatori non emette calore. Quello che vale per la singola casa, vale per l’intera città. Le città ormai sono delle UHT, urban heat island, isole di calore urbano. Asfalto, cemento e materiali sintetici creano l’effetto forno e la temperatura continua a salire. Solo le piante, i viali alberati, i parchi possono rendere vivibile l’inferno urbano. Ma non facciamo che tagliarli, non considerando l’ombra come risorsa energetica. Scienziati, urbanisti, assessori, tutti dovremmo dire mea culpa, mea maxima culpa».
Il nostro letterato invece, seguendo l’ombra di Virgilio, da Mantova è arrivato a Ravenna per incontrare Dante, il noto esploratore del regno delle ombre.
«Un po’ ombroso, ma con l’ombra di un sorriso, Dante mi spiega che la selva oscura, il “gran deserto” che egli percorre “con lena affannata” in fuga “da’ falsi e bugiardi”, altro non è che un’allegoria della giungla urbana. Un inferno, un purgatorio da attraversare per giungere al paradiso terrestre che, mi rivela, gli è stato ispirato da un luogo reale, la pineta di Classe, presso Ravenna».
«La Divina Foresta! Non la selva oscura, ma “la divina foresta, spessa e viva” del canto XXVIII del Purgatorio è l’immagine guida per una nuova lettura della commedia: dopo quella letterale, morale, allegorica e anagogica è il momento della lettura ecologica. Ci basti notare il linguaggio: “divina foresta”, “le fronde tremolando”, “il soave vento”, “un’aura dolce”, “con piena letizia”, “la gran variazione d’i freschi mai” (allude ai maggi fiorentini). Dante sta parlando esattamente del benessere creato dalle piante e dalla loro ombra, “la prim’ombra ch’a li occhi temperava il novo giorno”. La pineta, suggerisce Dante, è la Divina Foresta dove trovare l’ombra perfetta. Da oggi, la Divina Commedia si chiama la Divina Foresta».
A proposito di selve e foreste, la nostra artista-terapeuta ci parla dell’Etruria.
«Ma quale pineta! Il polmone verde d’Italia è l’Umbria, per ¾ ricoperta dai boschi, così come la Tuscia. Ho trovato l’ombra perfetta nelle necropoli etrusche immerse nei boschi tra due fiumi, il Flora e l’Ombrone, e già il nome dice tutto».
«Ti leggo qualche riga dal diario di viaggio di D.H. Lawrence: scendiamo un po’ turbati nel buio, pian piano il mondo delle ombre diviene più reale della luce solare, un mondo di feste, piaceri, arbusti e ghirlande. Cominciamo a vivere con i suonatori, le danzatrici, gli atleti e i banchettanti e a cercarne con gioia la presenza».
«Senti più vita e più gioia in una tomba etrusca che in un addio al celibato».
«E poi c’è l’ombra più bella, l’ombra della sera, la statuetta etrusca esile e filiforme come un arbusto, che ha ispirato la scultura di Giacometti».
Sul tema “ombra della sera”, anche la nostra vocalist, “da un porticciolo del Tirreno”, ci manda un messaggio vocale.
«Al calare del sole, l’ombra più bella, quando alberi e persone si confondono in ombre allungate, sempre più sottili, come la porta stretta, al di là del bene e del male, quando finalmente è notte, è sonno, quiete, pausa, sospensione… ».
«E allora diventiamo come le piante e offriamo al bisognoso, indiscriminatamente. Nell’ombra c’è l’accoglienza profonda, silenziosa, come la colpa e come il perdono. Il salvatore-pescatore di anime non chiama i gendarmi, ma offre il pane e il vino perfino a un assassino… si, sto parlando di quella canzone che comincia così: all’ombra dell’ultimo sole, s’era assopito un pescatore…».
L’esperimento è concluso. I risultati raggiunti dai nostri quattro semi-umani dicono questo: abbiamo bisogno dell’ombra, di abbassare le luci e stare anche un po’ nell’ombra, nel mondo delle ombre, dando spazio all’inconscio, all’onirico, ai misteri gioiosi. Non siamo fatti per essere sempre illuminati e stare sempre in pensiero.
Anche perché, come dice Munari, “pensare confonde le idee”.
Testo: Leone Belotti.
Illustrazioni: Alessandra Corti.
Fonti e riferimenti:
Dante, Inferno, canto I, 1-7.
Dante, Purgatorio, canto XXVIII, 1-36.
D.H. Lawrence, Passeggiate etrusche, 1932.
AA.VV., Effects of woody plants on microclimate, International Journal of Plant Sciences, n.159, 1998.
F. De André, Il pescatore, 1970.