Ol Piantù e la pianTina
Ol Piantù in bergamasco è un grande albero, un punto di riferimento che presidia un luogo di passaggio naturale, un crinale, un guado, una fonte, ma anche una soglia urbana, un bivio, un ponte, una rotonda, una piazza o un palazzo.
Protagonista di questa storia è quel vecchio e grande ippocastano alto 15 metri che da generazioni accoglie chiunque nell’antica piazzetta d’ingresso della città, sempre al suo posto, inamovibile e ombroso come un piantone, e per questo chiamato affettuosamente Tone.
«Fin dal primo giorno ne sono rimasta affascinata, sentendomi intimidita e attratta» racconta la nostra Tina, una piccola piantina alta 15 centimetri neoassunta negli uffici direzionali all’ultimo piano del grande palazzo che domina la piazzetta.
«Attraverso le vetrate ci guardiamo in faccia, siamo proprio una di fronde all’altra, per così dire».
Alla fine di ogni giornata, quando gli uffici chiudono e la piazza si svuota, le due piante prendono l’abitudine di scambiare quattro chiacchiere. La piccola Tina gli parla del suo lavoro, il vecchio Tone le racconta la sua storia, che è poi la storia della città.
«Mi piace moltissimo il mio lavoro» dice Tina, che è assistente di desk top al coordinatore di un team di ricerca incaricato di definire il nuovo Codice Etico Aziendale.
«Sai, Tone, sto imparando tantissime cose». E gli spiega che al giorno d’oggi le aziende sono consapevoli della propria responsabilità d’impresa, non solo economica, ma anche sociale e ambientale.
«Per questo ogni azienda mette nero su bianco il proprio codice etico».
«Mi sembra una bella cosa. E cosa hai imparato oggi?».
«Per prima cosa il significato della parola “etica”, che viene dal greco “ethos”, e indica l’indole e il comportamento di una comunità e dei suoi individui».
Il Tone la ascolta pazientemente, anche se sono cose che già sa. Il primo a parlare di Etica è stato Aristotele. L’etica classica è la norma che definisce il comportamento individuale in riferimento a valori condivisi di giustizia, solidarietà e rispetto.
«Ma l’etica cambia nel corso della storia!».
Certo. Dopo l’etica classica c’è l’etica cristiana, quindi l’etica laica della rivoluzione scientifica, cui seguono l’etica liberista del capitalismo e l’etica rivoluzionaria del comunismo. Il Tone sorride per l’entusiasmo e l’ingenuità della sua piccola amica.
Gli viene in mente una vecchia canzone di Battiato.
L’etica è una vittima incosciente della storia
«E sai cos’è il bello, Tone? Che oggi gli esseri umani per la loro nuova etica della sostenibilità si ispirano alla natura, soprattutto a noi piante che rappresentiamo un modello di convivenza oltre che di efficienza energetica!».
Che scherzi gioca l’uomo alla natura
«Questo è abbastanza curioso» risponde il Tone. E le spiega con semplicità che la specie umana, una volta perduti i valori della classicità e della sacralità della natura, ha sempre devastato in ogni modo sia il regno animale che quello vegetale, quale che fosse l’etica del momento, prima quella cristiana, poi quella laica-scientifica.
«Ma tu parli da vecchio cinico!».
«Può darsi, piccola Tina».
E penso a come cambia in fretta la morale
«Devi sapere che un tempo qui c’era un piccolo boschetto. Io sono l’ultimo Piantù rimasto. Giusto 100 anni fa, nel 1923, hanno tagliato il primo, che era molto più alto e vecchio di me. Hai mai sentito la ballata del Piantù? Non la senti a volte risuonare tra le fronde, portata dalla brezza della sera?».
La Tina non l’ha mai sentita.
«Non importa» dice il Tone.
Qualche giorno dopo, però, tornano sul discorso. E allora il Tone le spiega che quella vecchia ballata, scritta e cantata da Ol Merica, un cantastorie che aveva sempre vissuto da uomo selvatico nel boschetto, rappresenta la nascita della coscienza ecologica della città.
In del Boschèt de San Marta,
gh’era dét ú bèl Piantù,
i l’ha mandàt a Rebuldù.
«Se gli uomini volessero davvero seguire l’etica della natura» le dice «più che ispirarsi a noi piante scrivendo nuove regole, dovrebbero riscoprire e ritrovare in loro stessi la loro umanità, la loro natura di viventi che l’uomo sociale e tecnologico ha smarrito».
«Intendi il carattere selvatico?».
«Proprio così, Tina. Perché anche l’essere umano è una creatura silvestre, animata dallo spirito della natura, come una pianta spontanea. Il rapporto con la natura è fondamentale, ma non lo si può studiare o insegnare, lo si deve vivere. Oggi sono rimasti solo poche migliaia di autoctoni nelle foreste del sud del mondo, ma fino a cent’anni fa anche in Europa, anche nelle nostre vallate, vivevano ancora uomini selvatici, che scendevano di rado in città, e per il resto vivevano sui monti, in modo naturale. E cosa vuol dire naturale? Sai rispondere a questa domanda?».
Il giorno dopo Tina ha la risposta. Si è preparata.
«Come ha detto proprio Aristotele “natura è ciò che ha principio generativo in sé” e “naturale è ogni cosa soggetta a nascita e morte, accrescimento e corruzione”. Dunque il carattere o il codice naturale consiste nell’accettare la natura mortale del vivente, è questo che rende sacra la vita e fertile ogni istante. Invece il cosiddetto homo sapiens considerando la natura come una macchina da smontare e dominare, non ha fatto altro che allontanarsi dalla natura, inseguendo la tecnica in cerca dell’immortalità… e in questo modo è diventato sterile, artificiale e privo di vita! E incapace di rispettare realmente la vita, pur proponendosi di farlo».
«Bravissima Tina! Tutto lì! Prova a spiegarlo ai tuoi colleghi umani. Parlano tanto di etica, ma l’etica è da mettere in pratica. Mentre parlano degli alberelli che piantano, tagliano i piantù con scuse pietose. Dicono: era malato! E allora? Conosco alberi in California come ad Assisi che sono malati da centinaia, anche da migliaia di anni! Non abbiamo appena detto che la vita è questo?».
Nei giorni seguenti, mentre le vetrate degli uffici vengono coperte dai ponteggi per i lavori di efficientamento energetico dell’edificio, la Tina, sempre più motivata, fa una scoperta fantastica. Non vede l’ora di comunicarla al Tone.
«Questa la capiranno anche gli umani!» si ripete in attesa che vengano tolti i ponteggi. In effetti ha scoperto che la vera parola illuminante a proposito del Codice Etico della Natura è quella che meno ti aspetti: la parola Codice, che deriva dal latino Codex, che significa esattamente “tronco d’albero”. Solo secondariamente diventa “raccolta di leggi”, non solo perché le prime tavolette da scrittura sono ricavate dal legno, ma perché il tronco dell’albero è esso stesso il primo codice della vita, è linfa che diventa testo e memoria.
«Il mio codice etico sei tu!» vorrebbe cantare la piccola Tina al vecchio Tone.
Ma quando finalmente i ponteggi e i teloni vengono tolti, un’amara realtà le si para davanti. La piazzetta è stata lastricata a nuovo. Nuovi lampioni fotovoltaici, nuove panchine in materiale riciclato. Ma il Tone non c’è più. Come i suoi compagni prima di lui, è stato tagliato. Il boschetto non esiste più.
«Ma perché?» chiede.
«Era malato» le dicono.
E allora la Tina comincia a piangere. Un pianto senza fine. Un Piantù.
Per questo oggi la Tina si trova qui, a fare riabilitazione in serra. Raccontare la propria storia, è sempre la prima cura. E chi ascolta la tua storia, è già un curatore. Perciò, lettore, a nome della Tina e del Tone, ti ringraziamo per la tua pazienza. E quando qualcuno ti sottoporrà un codice etico, spiegagli a nome dell’azionista di riferimento, che come sappiamo è madre Terra, che il codice unico è il codice della vita, e si chiama albero.
Testi:
Leone Belotti
Illustrazioni:
Alessandra Corti
Fonti e riferimenti:
F. Battiato, Venezia-Istanbul, 1980.
Ol Merica, Ol Piantù, 1923.
Castiglioni-Mariotti, IL, 1966.
Aristotele, Etica Nicomachea, 330 a.C.